Basilica Santuario Maria SS. della Coltura

Basilica Santuario Maria SS. della Coltura

Ordine dei Frati Predicatori

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SIMULACRO PROCESSIONALE

DELLA MADONNA DELLA COLTURA

La sentita e partecipata devozione del popolo parabitano alla Madonna della Coltura nel passato è testimoniata da numerosi documenti, uno dei quali ci ricorda come la processione penitenziale, che si effettuava in suo onore il secondo sabato dopo Pasqua di Resurrezione, apparteneva a quelle "processioni solenni con beneditione" e, unitamente a quella della Natività di San Giovanni Battista, doveva obbligatoriamente essere presenziata dall'Arciprete o, in sua assenza, da altra dignità capitolare: nell'ordine l'Arcidiacono, il Cantore, il Primicerio.
Questo privilegio venne riaffermato nel 1707 allorché l'Arciprete Don Carlo Riccio, di sua iniziativa, aveva incaricato un sacerdote suo sostituto, non appartenente alle “dignità”, ad effettuare la processione in onore della Madonna della Coltura. Per l'occasione era dovuta intervenire la famiglia baronale al completo per dirimere la questione. Non sappiamo se, nel Seicento e primo Settecento, in tale processione si portasse qualche immagine della Cutura visto che quella del miracoloso monolito non era certamente possibile. Forse si esponeva processionalmente un dipinto, ma l'intensa partecipazione del popolo faceva ormai nascere in molti "maggiorenti" del paese, il desiderio di avere una statua. E fu proprio uno dei "maggiori" del paese, Felice Cataldo Scerzo (1725-1808), a farsi promotore perché si avesse un simulacro da portare in processione. Persona profondamente religiosa, aveva fra l'altro istituito "un capitale cenzo" di ducati 100 al 5% destinato alla celebrazione di trenta messe piane nell'altare del Santissimo Sacramento nei giorni festivi "all'ora di mezzogiorno per lo commodo dei parabitani che lavoravano" e un secondo capitale, sempre di ducati cento, al fine di chiamare i "Sacri Missionari per predicare la parola di Dio a questo pubblico". Insieme al figlio Oronzo (1758-1833) fece fare per sua devozione la statua che ancor oggi viene portata in processione e della quale oggi viene ufficializzato il restauro.
La testimonianza, riportata dal Serino nelle sue "Memorie sulla Terra di Parabita e sue Antichità" non ci dice l'epoca, ma, dai dati anagrafici dei personaggi, siamo nella seconda metà del Settecento.
La speranza degli storici è sempre quella di trovare un giorno il documento capace di far completa luce sul passato.

 

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A restare in parte o totalmente nascoste, secondo i periodi, è stato il misterioso disegno che ha legato le due immagini della Madonna della Coltura di Parabita: il monolito con l'affresco di origine basiliana e la settecentesca statua in cartapesta. Entrambe hanno avuto periodi di nascondimento alternato a momenti di fulgido splendore.
L'affresco, sotterrato in epoca imprecisata, fu, come vuole la leggenda, ritrovato tra la fine del 1300 e l'inizio del 1400 da un agricoltore. Racchiuso poi nel 600 in un ovale raggiante in pietra leccese, si lasciò vedere soltanto il busto della Vergine col Bambino. L'immagine della Vergine, così ridotta, venne pian piano quasi ignorata e mai presa in considerazione dagli storici e dagli intenditori di arte sacra, forse anche per via di una sovrapposizione di colore ad olio di un ignoto pittore, che aveva coperto l'originalità basiliana.

Dopo la visita apostolica del vescovo mons. Francesco Carafa del 1740, l'antica cappella di S. Maria de la Cutura fu di nuovo interessata da importanti lavori, e non solo di consolidamento. Si ebbe un risveglio del culto della Vergine della Coltura, e quindi i relativi festeggiamenti furono più importanti. Questo risveglio e forse la considerazione che il centro abitato si era in qualche modo esteso, furono lo stimolo a dotare la chiesa di una statua per le processioni.
Si giunse così all'inizio del secolo XX, quando con un'autentica "spallata" si abbatté la vecchia e cadente cappella e sorse lo splendido santuario che noi oggi conosciamo. Quella spallata permise di riscoprire per intero il venerato "monolito" con la completa raffigurazione della Vergine.
Intanto il vescovo di Nardò mons. Giannattasio fu trasferito a Roma e vescovo titolare di Gallipoli-Nardò fu nominato mons. Gaetano Müller. Questi nel 1933 durante una sua visita al Santuario, si accorse che si veneravano due immagini della Vergine della Coltura: quella raffigurata sul "monolito" situato sull'altare e quella rappresentata dalla statua in cartapesta.
Non essendo ammessa la presenza nella stessa chiesa di due Madonne, sotto lo stesso titolo, il nuovo vescovo fece notare l'irregolarità a padre Dino Danubio, superiore dei Missionari della Consolata che era rettore del santuario. Il rettore, dopo essersi documentato', assicurò il vescovo che dinanzi alla statua nessuno più si accostava per pregare e che già da tempo era stata "spogliata di lampade, di candele, di ex-voti".
Si era preoccupato quindi padre Danubio di far capire alla popolazione che accantonare di fatto la statua non era stato un capriccio dei padri. Vi erano state effettivamente vibranti proteste da parte dei parabitani che mal avevano tollerato il provvedimento. Mons. Müller, anche se con le opportune raccomandazioni alla prudenza, richiamandosi alla Circolare della Sacra Congregazione dei Riti del 20 maggio 1890, n. 1832, nella quale si specificava che era "assolutamente proibito esporre nella stessa chiesa due quadri o statue, rappresentanti Santi e, se trattasi della Madre di Dio, sotto lo stesso titolo", con comunicazione del 29 maggio 1933, ordinò in modo perentorio e motivato, che la statua venerata nel Santuario della Coltura di Parabita "sia rimossa" considerando che la vera "immagine Miracolosa, ritrovata dall'agricoltore" e venerata da secoli era quella dipinta sul monolito sovrastante l'altare maggiore.
Aggiunse nello stesso ordine che la statua in cartapesta poteva essere esposta alla venerazione dei fedeli durante la Novena e nei giorni della festa. Ordinava ancora che la statua durante l'anno fosse tenuta nella Cappella privata del convento adiacente al santuario.
Ci risulta che un moderatore eccellente in quell'occasione fu il dr. Alberto Moro, che era un assiduo frequentatore del santuario e che assisteva i padri della Consolata come medico condotto. Qualcuno asserisce che lo stesso dr. Moro portò la statua a Galatone, dove fu restaurata e la veste fu colorata di rosa.
La statua fu definitivamente messa da parte, né fu più portata in processione.

Passano gli anni, dopo la morte di mons. Müller avvenuta il 7 marzo 1935, nella nostra diocesi si alternano vari vescovi, finché nel luglio del 1951 è vescovo di Nardò mons. Corrado Ursi. I parabitani ritennero di dover avanzare la richiesta di far ritornare alla venerazione dei fedeli la tanta contesa statua.
Mons. Ursi in data 9 marzo 1952 scrive al rettore del santuario, padre Federico Civillotti che, “date le continue insistenze della popolazione di Parabita, dopo aver molto riflettuto e pregato”, era venuto alla determinazione di consentire che “l'antica statua della Madonna della Coltura, oggetto di grande venerazione per parte dei fedeli di Parabita e di altri paesi circonvicini, sia portata in processione”. Aggiunse ancora che la statua poteva essere esposta in chiesa il sabato che precedeva la sua festa e tolta il lunedì successivo.
Com'è noto, i missionari della Consolata cessano di reggere il santuario mariano nel luglio del 1954, e furono sostituiti per pochissimo tempo dai Missionari del Sacro Cuore. Il giorno 8 maggio 1955 giunsero i Padri Domenicani, che continuarono la tradizione della pubblicazione del bollettino del santuario e nel "Numero speciale per le festività della Madonna" (Anno V - 15 Aprile 1956), padre Aurelio Coppola o.p. in un articolo dal titolo “A proposito di una vecchia questione - La sostituzione di un'immagine”', spiega le ragioni di una "interdizione" richiamandosi anche a canoni che volevano che "la statua o immagine sia il più verosimile al Santo in cui onore essa è benedetta" e dopo aver sottolineato con particolare rilievo il fatto che la statua era ritornata a far da "riproduzione forzata" suscitando il rammarico dei “benpensanti”", aggiunge che la questione risollevata dai PP. Domenicani mirava a "riportare la processione in onore della Vergine della Coltura al senso dei Canoni del Diritto Canonico e ad una decorosa manifestazione del culto che è diretto all'immagine della Madonna della Coltura e non di un'immagine qualsiasi". Invitava inoltre la popolazione a aderire alla sottoscrizione “per la costruzione di un monolito di legno o di una statua il più possibile fedele all'immagine venerata”.

Attualmente il Simulacro processionale è custodito nella “sala confessioni” della Basilica Santuario Maria SS. della Coltura, posta a ridosso dell'Altare del Santissimo Sacramento e viene esposta alla pubblica venerazione durante i festeggiamenti civili del mese di maggio.

Articolo a cura di Ortensio Seclì e Mario Cala